QUELLA LUNA PIENA DI CREPE IN UN MONDO MARCIO-LUCIDO

ho cavalcato il tuo occhio rottamato nei pressi di una new york tangeri londra pulsante ma devastata dai cicli delle efflorescenze martirizzate dei marciapiedi – il mio gioco cerebrale ha cominciato a flettersi lungo le sinapsi come una pagina del pasto nudo spinta da un vortice roteante di sperma cosmico rivedendosi in gioco simultaneamente come il polverizzarsi lento delle serate geniali fra i fiori delle parole e il tuo passo ormai rallentato e sghembo – un vulcano mai nato io s’improvvisa autore io eruttando poemi instabili e termino la caduta dei miei eventi da umano con un colpo ben assestato di rasoio leggendo sulle rughe del tuo viso in bianco e nero quelle blasfeme preghiere dipinte dai colori dell’iride – anno 97 vai senza ritorno bill ancora invisibile farneticante autore decimato dal tuo tossico cuore maledetto e il gesto dell’andare s’impadronisce della parola per studiare e descrivere ancora nuovi volti erranti della visione e nuove sere di noi attaccati alle allucinazioni ai riverberi incolonnati sui coni delle furie e lo stridere di correnti della percezione compresse dalle memorie a nuove terribili posizioni di sesso accartocciate come un auto sfondata da una moto in corsa suicida in un tramonto coperto di tempeste – intona presso questo squarcio un canto improvvisato di carni in vibrazione ansanti battenti schioccanti e poi rivendica questo silenzio fragoroso di parole in formazione sul monitor e il ticchettìo frenetico dei polpastrelli sulla tastiera che lo anticipa perché tutto ciò ha ancora un’importanza capitale per la mia salvezza – è come se il mio cuore si vendicasse dall’essere stato gettato giù dai millenni disperati e dalle false bandiere degli uomini – perciò volgo dal trogolo delle amnesie al recupero del mistero e delle immagini della scrittura caro larry ferlinghetti perduti da anni da vuote ricerche isteriche della forma – estate ora mirata attraverso il verde vetro di un fondo di bottiglia nel deserto – una duna si trasforma lenta insieme al rigurgito imponente di un verme enorme dei sotterranei – i cerchi di luminose deviazioni sonore causati dal riverbero la distorce fino a trasformarla in cuore trafitto e il ricordo della terra ricomincia da qui e incidendo apre piano le insolenze del tempo questo tempo pieno e coperto di ecchimosi aeree dovute ai ripetuti barbari tentativi inutili di risalita – muto strisciare sabbioso dell’io desertico monocreatura invertebrata – mutante opera tecnologica composta da logaritmi ciclici rinchiusi in cilindrici troni chiusi ermeticamente nelle sere di tempesta – vuoto membro assetato di fluidi opacizzanti delle perlacee schiere degli oceani in fondo ai buchi – organizzazioni di polveri sulla spuma dei colori bianco\nero del secondo millennio – colori spermatici sbiaditi sporchi nelle pagine da sperma del tuo oro bill – pagine involte come oro dei libri di burroughs destinate all’isolamento da questo tempo violentato dalla coscienza derubata – isolamento definitivo della scrittura autonomamente mobile fra i venti temporali gocce in volo e del messaggio ancorato ai furori delle tormente del dentro come piccole efflorescenze liberate dalla foga delle superfici ribollenti dei vulcani lunari e dei suoi crateri illimitati dalla forma tripode e dalle serie inventanti parole e immagini e visioni come un estremo ponte delle ferite inguaribili – uno scavo nella roccia insensatamente emulsionante – un’antenna verbale delle ascese nel proprio infondo e crolli di fede in corpo corrosa dalle stratificazioni forme geometriche spezzate di galassie lisergiche nei cervelli – derive segnate di mondi sepolti dentro – guardo attraverso una fessura della parete del mio cervello serrato fra armature cromate e minuziosamente rifinite e opero il tentativo di oppormi con un’area a questo tempo che vuol disfarmi lentamente – area composta da tutte le ossa della mia memoria che è autonoma e non si sfarina all’aria continua immortale del desiderio – un’area-aria-era piena sì delle impurezze cristalline incastonate sui volti delle pietre incastonate dall’impurità insana delle foci umane – organi melliflui sbattono oscillando attraverso le lenti di microscopi anarchici che si agitano lievemente come sospinti da un alito santificato a osservare percettivi genitali attorniati da pelli instabili semidecomposte e a sentire urla di orifizi straziati dall’indifferenza nelle stanze in penombra e mostrare quei bui lontani vibranti nel silenzio assordante del mio cervello sfregiando con virulenza questa nostra epoca calcificata su simulacri bastardi arredati come carri che ghignano contro il nostro nucleo rovente e ammiccano alle estenuanti assordanti ammorbanti schiene del potere – così ecco io ancora instupidito dai volumi degli scarichi storicizzo il mio cazzo aggrappandomi con la coda sulle cime più spinose delle vite finora qui – resti di poltiglie di fede roventi impastate coi veleni allucinogeni di funghi stretti coi denti a ribattere dalle cime le cime del nostro fondo più buio più insperato più articolato più dimenticato dei sogni dei deliri dell’io causati dalle febbri in seguito alle visioni dei tramonti rossi del dentro e con nella mente solo un pensiero: niente è vero – tutto è permesso – un microscopio elettronico mostra: cellule nervi osso – vedo un vaso pieno di medicina su una lastra di pietra – piramide tronca si allontana in distanti richiami di uccelli insieme su ali pericolanti sopra un abisso di blu – un cuore che palpita e odora di carne cruda – luce d’argento esplosa nei suoi occhi – formicolii fra le gambe mescolati dentro insieme – fredde strane parole cadono come reti di ghiaccio sulla mente – parole virus che divorano il cervello in frammenti borbottanti – parole come spruzzata di petali di rosa – adesso la mia ispirazione è nella polvere di stelle nel cielo e misuro piano la curvatura inedita della mia spina dorsale mentre si flette alle ore lunari e accendo la TV e il vecchio zio bill ghigna dallo schermo col suo bastone e pubblicizza scarpe da basket recitando versi cancerosi che gocciolano di pus allagato il pavimento – e ho comprato una pistola ancora fumante a lawrence kansas U.S.A. per spararti in faccia, mondo marcio-lucido!

[ scritto in memoria di william s. burroughs > il tre agosto 1997 ]

SESTO. l’impero sanguinario. aprile 2021.

“Dovete morire, voi lì sotto. Il potere si sta abituando a considerare la nostra morte, in massa, un “prezzo accettabile” pur di riprendere ad accumulare profitti. Ma quando la vita umana vale meno delle attività che producono il reddito necessario a mantenerla, la barbarie è già qui.”

non mi sento più. mi
trasformo in auricolare
rimasticato nella tenebra.

alla luce tolta il
diniego, ogni volta più
calzante alla notte al giorno
la mattina presto come
spero di svegliarmi.

e se mi sento dentro più
spento archiviato e vetrificato
si soffre quest’incantesimo
senza più forze senza
movimento.

la piaga respira con me
di notte come di giorno.
e il quotidiano corrompe tutte
le definizioni di respiro,
quello imparato da me, quello che
ora sponsorizza lo scempio.

QUINTO. concorrenza o associazione?

sento poco ormai
da quei richiami un tempo il senso
e poi le scorrerie entusiastiche
delle convinzioni stampate
sul monolite della mia forza.

sento poco ormai
da sveglio quei richiami al tempo
che sviscera ogni giorno
ciò che prima chiamavo emozioni
ora invece blandi richiami
di robe perdute sensi acquisiti male
rovesci alla luce delle ore
da solo sempre più solo.

nelle parole che oggi
di chiara luce voglion vibrare
ancora cerco di connettermi dunque
aspettandomi che cosa da me
se non che sento poco oramai
sento talmente poco
che alla vista del mio transito
il cuore si disperde si rilascia
senza permettermi più un tremito
di entusiasmo della luce.

sento poco ormai
il ciclo vuol conchiudersi
l’afflato consolidato mi
determina in un blocco nero.

QUARTO. una spettrale immaterialità

Indago con Stirner e Bazzani la latenza dell'ulteriorità, rispetto ad ogni dato che richiami alla generalità, senza fare una proposta, né progetto. L'ulteriorità potrebbe indebolirsi favorendo il ritorno al l'essere-forma e alla sua – appunto – generalità. Ed essendo presente la latenza in tale ulteriorità, ecco che tale indagine si rivela come eccentricità assoluta, come irriducibilità ad ogni tentativo di ricerca di universalità. Si è oltre la forma, che è sottoposta al vaglio distruttivo di questa critica radicale. Il senso della forma si infrange sull'infrangibile solidità del mio io, me stesso, la mia propria corporeità, la mia propria carne, che non è mai forma, bensì il centro di per sé, per me. Le forme infatti non si determinano mai sulla mia carne, dunque su me stesso, poiché esse negano il sè dell'io. E perciò non hanno alcun potere su di me.
Questa indagine - nella sua latente ulteriorità - si connota dunque come controtendenza al discorso del potere, alla sua autoimposizione eterna, alla sua presunta "naturalità", alla sua sacra "immaterialità", alla sua immateriale "sacralità", alla sua autoreferenziale "spettralità". Il potere è forma e materia, e la materia è la traduzione della forma. Il coagularsi perpetuo in forme storico-esistenziali a priori rappresenta il dispositivo materiale di questa traduzione, di cui il potere si alimenta. La modernità declina, per putrefarsi nell'omologazione massiva dell'oggi, nelle ideologie globalizzanti: l'organizzazione dei totalitarismi, delle democrazie di massa, del loro autoriprodursi, del loro reiterarsi, il continuo ripetersi attraverso il consumo, e conseguentemente, la scarnificazione dell'ethos e dell'individuo sono gli unici depositari di senso ammessi. Il concetto ordinario di realtà, proprio della comune opinione, riflette la rete immateriale del discorso del potere, che è un ordine di precedenza rispetto alla vita della mia "carne", costituendo quell'ethos in cui l'ente si trova gettato. È qui che il soggetto individuale è imprigionato in un processo di continua nullificazione, che lo fa attore e ostaggio. Il discorso del potere così si articola, nelle sue pratiche materiali, come organizzazione di enti scarnificati, violenta per natura sua propria, assumendo la valenza immateriale della forma scarnificata, la figura del corpo e della mente di un nulla. Dunque, né più né meno che il quadro sociale, politico, culturale, di senso che la nostra epoca sta vivendo, il globale dislocarsi e strutturarsi di una "soggettività tecnica", che "scorporizza" il soggetto individuale, riducendolo al nulla della riproduzione e del consumo.
Oggi questa "immaterialità" è la pubblica opinione, la cultura di massa omogeneizzata. Ed è per questo che c'è bisogno di un senso di latente ulteriorità. C'è bisogno di una iconoclastica pulsione di oltre, di una parola che non si può non ascoltare perché è accompagnata da un gesto non condiviso, perché si unisce ad un gesto "orribile" di un "egomane", uno "psicopatico grave" che dice a voce alta "io sono io, nulla m'importa oltre me stesso", il gesto perentorio e improvviso che cattura l'attenzione obbligando all'ascolto e rompendo l'unificazione massiva. C'è bisogno di un tipaccio indisponente che non propone nulla, fuorché se stesso, che non ha la pretesa di insegnare la prospettiva migliore, qualcuno che possa interrompere la significanza a senso unico, in sé priva di senso, e riempita artificiosamente di un senso surdeterminato.

il dominio.   la gerarchia

La gerarchia è il sacro, l'anteposizione agli individui, la sovrapposizione di una determinazione generale. Essa antepone e sovrappone agli individui lo stato (le leggi), la società (l'associazione dei lavoratori), e l'uomo (l'umanità): la celebrazione della "società degli straccioni" (cioé la società di coloro che si riconoscono come individui solo nella misura in cui si disconoscano come individui propri, che si omologano, si omogeinizzano) è la negazione assoluta e totale dell'individualità singolare, della differenziata unicità propria, della proprietà di sé. L'individuo non dimora più in sé stesso, la proprietà di sé continua ad essere disconosciuta, la sua singolarità è ridotta a brandelli, e con questi stracci copre il corpo e il proprio pensiero, poiché solo così la divina società del liberalismo e del comunismo, e poi del fascismo e del democratismo, e del globalismo e dell'antiglobalismo, lo riconosce in quanto individuo. 
Se questo è l'esito del percorso, ecco la scaturigine, il vizio originario insito nel concetto di rivoluzione. Con la rivoluzione in sé e per sé, la sostituzione delle gerarchie lascia inalterata la sussistenza della gerarchia in quanto tale. Essa non è mai affermazione dell'individuo, ma sempre affermazione di forme generali, dunque di dominazioni. Il problema è sempre il dominio, e oltre questo può esservi soltanto la ribellione, la rivolta, la sollevazione individuale, e la radicale indifferenza nei riguardi di qualsivoglia potere che renda impermeabili al contenuto alienante, deindividualizzante, insieme al discorso del potere e alle logiche rivoluzionarie di controtendenza, che sono interne nondimeno al discorso del potere. Ci sono quattro indagini che si possono fare:


1)   critica della negazione della proprietà.
Un individuo privo di proprietà neppure è pensabile. Esso è tale soltanto nella misura in cui sia proprietario di qualcosa, al di là delle determinazione sociale della proprietà stessa, delle forme storiche che essa assume. L'intelleggibilità, la nominazione stessa dell'individuo proprio, si dà nel suo esser proprietario. La negazione comunista della proprietà decide la negazione dell'individualità.

2)   contro l'idea di "corpo sociale". 
Il "corpo sociale", tanto nella sua declinazione borghese, politica, quanto nella sua declinazione socialmente borghese, comunista, è posizione di un concetto di corporeità che non rappresenta, e annichilisce, il corpo dell'individuo in sé, quando è corporeo e pensante. La corporeità sociale invece si appropria dei corpi individuali a proprio vantaggio, come un ente superiore del tutto alienante. L'alternativa individuale, egoistica, ribelle a tale corporeità sociale non è tanto il corpo in sé e per sé. quanto la carne, la mia carne.

3)   intorno all'idea di "società giusta".
L'unica società giusta è quella che non c'è proprio, perché giusta non può mai esserlo, in quanto immateriale forma sovraindividuale, forma della modernità. Così si dice anche della giustizia, nello stesso contesto. Certo vi è l'ingiustizia, vi è il vivere degli individui in una situazione svantaggiata, illibera, diseguale, ma ciò dipende dalla responsabilità del singolo. Si vive una tale situazione perché la si vuole vivere, o perché non si ha la forza, la capacità, per viverne una migliore. È questo un sovraccarico di responsabilità imputata all'individuo? È il sottodimensionamento delle materiali situazioni di esistenza? Forse sì. Ma per buona io prendo la potenzialità di una forte spinta autoemancipativa, il rifiuto del nascondimento dietro il "vecchio fenomeno di cercare la colpa in tutti gli altri prima che in se stessi".

4)   critica dell'uomo lavoratore.
Il comunismo ha tratti ecclesiali. Mostra un duplice volto: feriale e domenicale. Nei giorni feriali la centralità è il lavoratore, mentre di domenica prevale l'uomo. Nei giorni di festa il comunismo è liberale, nei giorni lavorativi è illiberale. C'è una carenza di laicità, una costrizione di religiosità: una sacra costrizione in standard prefissati che determinano il valore morale dell'individuo. La supervalorizzazione del lavoratore sull'uomo individuo comporta l'esigenza di elevare l'uomo individuo a lavoratore, disconoscendo la legittimità di un uomo che non sia essenzialmente lavoratore. Cristianamente, l'uomo individuo non lavoratore deve essere redento, purificato, dal suo non-lavorare. L'ozio è consentito solo alla domenica. Tale liberalismo sociale è illiberale in quanto ha un atteggiamento moralistico verso il lavoro e la conseguente condanna bigotta del peccato del non-lavoro, con conseguente negazione della libertà.

Il liberalismo risulta essere dunque la declinazione moderna della gerarchia, del discorso del potere. È la cultura della normalizzazione di tutto quanto risulti trasgressivo, ove la vera trasgressione si dà nella piena e consapevole affermazione della individualità propria. Il liberalismo politico pone in essere procedure normalizzanti attraverso la polizia, il diritto, i tribunali e i vari apparati dello Stato. Il liberalismo umano adotta il principio – falso e ipocrita – dell'amore dell'uomo per l'uomo. Il liberalismo sociale, il comunismo, attua la pratica del lavoro, l'etica dell'attività a fini sociali, il premio morale inscritto nell'agire per gli altri. Si tratta in ogni caso di una logica di dominio, che tenta di ridurre il singolo a parzialissima manifestazione accessoria di quel dominio. La radice di tutto ciò sta nel conflitto che evidenzia la capacità nell'uomo all'individuazione personale attraverso la differenziazione da l'altro da sé, che contribuisce, neppure troppo marginalmente, alla cultura del dominio, che noi avversiamo. Ma il pensiero di Stirner, con le sue feconde contraddizioni, a fruttificare nella potenza liberatrice ed emancipatrice, eccedente rispetto ad ogni pretesa normalità, e radicalmente antagonista nei confronti di ogni logica di normalizzazione. L'ulteriorità di questo modello risiede nella latenza, nella proposta flebile, nella silente ma pervadente domanda che un orecchio attento sente riecheggiare di continuo: come uscirne? La forza della proposta sta nella sua debolezza, nel suo risultare sola istanza testimoniale, una minera d'uranio che non vuole esplodere ma implodere, che si pone come infrangibile argine d'indifferenza verso ogni gerarchia e dominio. Tale indifferente ribellione è la miniera di uranio che implode senza far macerie, poiché di per se stessa è terribile energia che si trasforma in macerie. E Stirner lo urla: ciò che ritenete vero è un cumulo di macerie. Da qui potete partire per andare dove è affar vostro!

Fabio Bazzani / Nihil

TERZO. il percorso reazionario

[ sarebbe necessario aspettarsi tutto dall’avvenire, intendendo il verbo sostantivato avvenire come procedimento come: ciò che avviene muovendosi mutandosi; sperimentando smentendosi. e questo in una dimensione del tutto avulsa da quella della cultura ufficiale creata finta da schiere di benpensanti in cerca di una professione. ]

siamo caduti da
le soglie di una rivoluzione a
un coacervo di ex-ribelli ora borghesi
che trasmutano le perle del dissenso
in coreografie mascherate del potere

se non si può più fare alcun processo alla conoscenza, e non essendoci più alcuna intelligenza da considerare, solo il sogno – che per voi è l’incubo – mi lascia tutti i miei diritti alla libertà. così il senso della vostra vita diventa del tutto indifferente ai miei occhi.

“se le ossa fossero gonfie come dirigibili, visiterei le tenebre del Mar Morto. la strada è una sentinella dritta contro il vento che mi avvolge e mi fa tremare davanti alle mie fragili sembianze di rubino. voi potete inventare solo delle povere storie che mi faranno sorridere d’indifferenza. voi, cui la cultura ha dato il potere di usare l’elettricità a mezzogiorno e di restare sotto la pioggia col sole negli occhi, i vostri atti sono gratuiti, i miei sono sognati. lungi da me l’idea di voler sfruttare le vostre immagini e di modificarle in un senso che potrebbe far credere a un progresso. colui che scrive verrà annoverato fra gli assenti. solitudine dello scrivere, non sarai più conosciuta invano. il realismo è mondare gli alberi. il surrealismo è mondare la vita.”

J.-A Boiffard / P. Eluard / R. Vitrae / Nihil

SECONDO. libertà, colore dell’uomo

e ripensando – senti qua – a voi che
un tempo chiamavamo borghesi ..
(tutti in fila ora là schierati tutti: operai e borghesi):
prendi nota dell’espressione: il 2021!
a qualcuno di voi potrei apparir sospetto,
magari ostile, certamente: pericolo.
ecco: stai attento! è la poesia!
io non mi mantengo entro il limite
di un pensiero moderato;
e non prendo per verità intoccabile
il tuo conforto e la sicurezza.
le mie regioni sono strane per te,
quelle del pensiero intendo, la cima.
la mia irriverenza, ancora e per sempre,
marca la critica, rifacendosi fiammata
ogni volta, mentre mi riprendo
sempre più solido nelle vostre mutilazioni.
ma per te son sempre instabile, irrequieto.
e mutevole, sì! avrei una testa inquieta?
la mia esistenza è estranea alla tua,
ma qui da me non c’è nessuna base sicura,
perché sono unico, slacciato, e sì:
scalmanato e nemico.
ma, guardacaso, mi va proprio di
contrappormi al tuo egoismo oggi, che,
dioporco, è diverso dal mio!
che smette la scrematura, rimanda fuochi,
rimpasta di umanità, riproduce!
dai basta! resiste ancora
il mio carapace coriaceo!

PRIMO. il conservatore originario

perlopiù inclassificabile, il nodo
cruciale del mio comportamento
è sepolto – praticamente – nella
soggettività. quello socio-politico,
intendo, di comportamento.
non è qualcosa da imparare, da
insegnare, questa cosa qui. è piuttosto
uno stato dell’essere che,
dell’intrapresa propria, fa
il proprio risultato rivoluzionario,
essenzialmente non specializzato.
la mia ragione d’esistere è, senti bene,
l’idea regolatrice dell’utopia.
quella che fa i conti da molti secoli
con la tua cattiva coscienza. sì! la tua!
che è quella del potere.
sì. e poi sono emotivo. io soffro
della pesantezza del mondo, della
mancanza sostanziale di giustizia,
m’indigno e mi commuovo come
se fossi ogni giorno caricato di pece.
fra universale e il particolare, l’essenza
non risiede nella totalità ma, senza esser
sbugiardato dalla storia, dall’individuale.
individuale connesso, e piuttosto strettamente,
in una rete, e per bene, di felici connessioni.
il valore supremo, la
cellula biologica e sociale, risiede
in me, nell’individuo totale, che forma,
lui sì, la categoria della totalità,
animandola dall’interno.
questo mio temperamento, è proprio
il testimone della singolarità vissuta,
di fronte a quella della folla che,
nel solito tripudio costituito, mi si
oppone fin dal primo respiro ripensato.
io sono la rivolta umana che sussulta
spontaneamente, contro le potenze
livellatrici dell’astrazione, la rigida
sistematizzazione, la melassa
del conformismo. vita e morte.
abitudine all’obbedienza, sottomissione.
autorità, ignoranza, la paura
della libertà e la servitù volontaria
sono aspetti che respingo, stralciando
anche lo Stato, è ovvio, da questa mia
critica liberatrice.
e sono altresì convinto che
ogni specie di potere corrompa
proprio tutti, pure il rivoluzionario,
o l’operaio, e l’uomo più libero,
col libertario, se decidessero di esercitarlo,
come il più falso ipocrita dei diritti
che ti consente lo Stato, in mezzo
alla massa dei governati.
io sono fatto così, credo così. credo
a quel sapore che dopo anni, fra le lontananze,
ti ritorna in mente, con tutti i sensi.
e ritorni all’origine. conservando dentro.
che libertà non è colpa. è il viaggio
che non finirà mai.

cosa c’è? che cosa ti sta succedendo?

ematoma sul cuore e / di nuovo l’infiammazione | il procedimento bloccato e / l’attesa del colpo | la machina macina e / la brigata è pronta per l’Hangar | ma io sono bloccato | allora chiudo gli occhi e / ed è come non voler riaprirli più in questo mondo | un gesto di scherno e / una carezza sul volto | tornare sui miei passi per / vedere se ci sono ancora | mi rarefaccio sempre di più e  / impercettibilmente concentrato _ attraverso me stesso semideserto | sempre più veloce e / con la bocca scentrata

 photo GEN 17_zpsycieidxg.jpg

all’improvviso   [ in ogni
angolo del suo corpo deflagrato ]
un’ala di ferro aerodinamica
si staglia   [ la testa quasi
completamente girata ]   nella
mia veduta del cosmo
materiale –

una piuma   [ trasporto
il carico svelto della
mia testa disincagliata ]   si
veste d’acqua migliorando
la tenuta e   [ completando
il bagliore del mio corpo
bagnato ]   l’erezione
del cielo –

una corda   [ mentre la
caricavo dentro il suo corpo ]
incontrollata e calda e di
carne   [ dell’ultima parola
dell’ultimo gesto ]   si veste
di foresta e gli uccelli
banchettano   [ le faccio
una lunga carezza sul pube ]
sulle ossa intercettate –

 photo suberg1_zpsswkwm09l.jpg

[ non ho una nozione esatta di cosa sia successo. di cosa stia succedendo. di cosa possa succedere. mi alzai in piedi allora. incontrollabilmente, di slancio ]

erosione

 photo conmorescoinsanatorio5.jpg

tutta questa memoria tutta   [ riconosco
il tremore al battito _ misura no ]   e _ tutta
questa carne impropria da domare   [ e tutta
questa finzione da _ ammorbidire da far sparire
da istruire ]   ritagliata debitamente –

delineate –

mentre cammino chiuso ora   [ al centro
di un territorio che ho raso al suolo impunemente ]
paralizzato da un equilibrio insano
profumato in mezzo a corpi   [ fluidi
giocosi esposti al buio ]   nudi che
non percepisco più –

tutta la memoria tutta
la carne entrambe delineate –

se rimanessi attento   [ a voler riprendere
ad esibirmi in tutti i momenti dell’incarnazione ]
e trovarmi evanescente come
uno sbuffo inutile di tempo sprecato
[ e privo delle mani privo della testa
privo del corpo ]   del tutto privo dei battiti –

delineate –

il bitume del tepore della serenità
mi ha asfaltato il cuore   [ striato
maculato come occhio termine ]   peraltro
finito di colpo sopra un muro
senza discutere –